Mappe radiali. Sistema caotico.
Le barche della Terra e del Cielo
Aldilà Barca Rito Funebre Terra Mare
Anima Viaggio Credo Seme Sublime
Vita dopo la Vita. Veicolo Accompagnare Oscurità Humiditatem
Approdo Casa Sepoltura Madre Acqua
Bianco Contenitore Preghiera Energia negativa Sale
Luce atroce Navigare Vicinanza Freddo Suicidio
Angolo Bestia Canti Culla Espansione
Sublime Mare Inno Vita Innalzamento
Limite Cavalloni Lode Ventre Inconquistabile
Là Cura Buca
Luogo Altro Folklore Basso
Pompa Ribaltamento
Vita dopo la Vita. Veicolo Accompagnare Oscurità Humiditatem
Approdo Casa Sepoltura Madre Acqua
Bianco Contenitore Preghiera Energia negativa Sale
Luce atroce Navigare Vicinanza Freddo Suicidio
Angolo Bestia Canti Culla Espansione
Sublime Mare Inno Vita Innalzamento
Limite Cavalloni Lode Ventre Inconquistabile
Là Cura Buca
Luogo Altro Folklore Basso
Pompa Ribaltamento
L'uomo che dirige il Cielo e la Terra
Spirale Polo negativo/positivo Cuore Ricerca scientifica Energia
Espansione + Pulsazione Ricerca Pseudoscientifica Vita
Fluidità - Vita Fede Assoluta Forze
Cerchio Caldo Spinta Nuovo Dio Vita dopo la Vita
Irradiazione Freddo Sangue Falso Verbo Positiva
Riflessione di Energia Orario Succo peculiare. Sicurezza Negativa
Guscio di Lumaca Antiorario Pompa Falsa Salvezza Impulso
Vortice Forze Ritmo Legge Pulsazione
Gorgo Magnetismo Ossigeno Naturale
Vita Energia Irradiazione
Moto Contrari
Orario/Antiorario Sopra
Sotto
Poli
Fluidità - Vita Fede Assoluta Forze
Cerchio Caldo Spinta Nuovo Dio Vita dopo la Vita
Irradiazione Freddo Sangue Falso Verbo Positiva
Riflessione di Energia Orario Succo peculiare. Sicurezza Negativa
Guscio di Lumaca Antiorario Pompa Falsa Salvezza Impulso
Vortice Forze Ritmo Legge Pulsazione
Gorgo Magnetismo Ossigeno Naturale
Vita Energia Irradiazione
Moto Contrari
Orario/Antiorario Sopra
Sotto
Poli
Gli eterni Corpi delle torbiere
Corpo Condizione Ambientale Mummia Tempo Perduranza
Siccitatem Palude Diamante Fermo Continuazione
Humiditatem Aria Corpo Nulla Futuro
Korper Microorganismi Durezza Eternità Permanenza
Lieb Agenti Eterna Morte Durata
Carcassa Esterno Statua Attimo Atemporale Oltre il Tempo
Soma Esposizione Perdurare Futuro Durare ancora
Macchina Corrosione Vita In potenza Prolungamento
Divisione Compromissione Siccitatem Impossibile
Separazione Condizione Era
Contenitore Hera
Pesante Fine
Gabbia
Humiditatem Aria Corpo Nulla Futuro
Korper Microorganismi Durezza Eternità Permanenza
Lieb Agenti Eterna Morte Durata
Carcassa Esterno Statua Attimo Atemporale Oltre il Tempo
Soma Esposizione Perdurare Futuro Durare ancora
Macchina Corrosione Vita In potenza Prolungamento
Divisione Compromissione Siccitatem Impossibile
Separazione Condizione Era
Contenitore Hera
Pesante Fine
Gabbia
Il Ritmo, Il Ritmo
Kaddish Inno Memoria Malattia Passato
Casa Howl Racconto Fantasmi Perdita
Madre Elevazione Immortalità Prendersi cura di Infanzia
Abbandono Poesia Delirio Visioni Tempo
Tutto Urlo Passato Opportunità Materializzazione
Dipendenza Ode Reminiscenza Nel Bene e nel Male Ritorno
Infanzia Lode Fantasmi Cambiamento Youth
Ricordo Alto Diario Abbassamento Impossibile
Originarietà Canto Elevazione
Primigenio
Madre Elevazione Immortalità Prendersi cura di Infanzia
Abbandono Poesia Delirio Visioni Tempo
Tutto Urlo Passato Opportunità Materializzazione
Dipendenza Ode Reminiscenza Nel Bene e nel Male Ritorno
Infanzia Lode Fantasmi Cambiamento Youth
Ricordo Alto Diario Abbassamento Impossibile
Originarietà Canto Elevazione
Primigenio
Congdon: Crocefisso, non Croce
Cattolicesimo Crocefisso Origine Dio Umanità
Trauma Tutto Originarietà Creatore Uomo
Rivelazione Cristo Scoperta Mistero Comunità
Conversione Spiritualità Brama Credo Distruzione
Religione Simbolo Identificazione Presenza Presunzione
Credo Presenza Passato Remoto Tutto Virus
Impronta Salvazione Sapienza degli Antenati Ineffabile Fine
Devozione Immagine e somiglianza
Rivelazione Cristo Scoperta Mistero Comunità
Conversione Spiritualità Brama Credo Distruzione
Religione Simbolo Identificazione Presenza Presunzione
Credo Presenza Passato Remoto Tutto Virus
Impronta Salvazione Sapienza degli Antenati Ineffabile Fine
Devozione Immagine e somiglianza
Nonluoghi che si specchiano
Luogo Specchio Natura Cultura Entropia
Rappresentazione. Morte Vincente Rovine Espansione
Originarietà Astrazione Fuori Calcinacci Architettura di Entropia
Angolo Aldilà Dentro Uomo Legge
Spostamento Cadavere Illimitata Limitata Principio
Amoenus Stadio Indipendente Fine Equilibrio
Decontestualizzazione Là Disordine
Lontano Essere Bilanciamento
Non essere
Originarietà Astrazione Fuori Calcinacci Architettura di Entropia
Angolo Aldilà Dentro Uomo Legge
Spostamento Cadavere Illimitata Limitata Principio
Amoenus Stadio Indipendente Fine Equilibrio
Decontestualizzazione Là Disordine
Lontano Essere Bilanciamento
Non essere
Pietro Archiati: i quattro cavalli dell'Apocalisse
Percezione Coscienza Atteggiamento Morte Paura
Mondo fisico Materiale Negatività Chi va Repulsione
Pura astrazione Sapienza Divina Tolleranza Chi resta Rifiuto
Sensibilità Anima Positività Esperienza della Morte Perdita
Sensi EsserCi Ascolto Inizio Svanisce
Sensoriale Umana? Curiosità Partenza Ingiustificata
Energia Esperienza Viaggio
Sviluppata
Pura astrazione Sapienza Divina Tolleranza Chi resta Rifiuto
Sensibilità Anima Positività Esperienza della Morte Perdita
Sensi EsserCi Ascolto Inizio Svanisce
Sensoriale Umana? Curiosità Partenza Ingiustificata
Energia Esperienza Viaggio
Sviluppata
Stalker: inseguire furtivamente
Egocentrismo Ecocentrismo Zona Desiderio Stalker
6 Estinzione di massa Vita Luogo Onnipotenza Guida
Morte di Dio Fede Là Là Obbiettivo
Distruzione Innocenza Accesso Vizio del Sublime Brama
Scienza Dio Terra Presa di Coscienza Fallimento Disperazione
Onnipotenza Dio Sole Pericolo Egocentrismo Inseguire
Uomo Dio Inconscio Brama
Ego Eco
Visione piccola Visione ampia
Irrispettoso Rispetto
Morte di Dio Fede Là Là Obbiettivo
Distruzione Innocenza Accesso Vizio del Sublime Brama
Scienza Dio Terra Presa di Coscienza Fallimento Disperazione
Onnipotenza Dio Sole Pericolo Egocentrismo Inseguire
Uomo Dio Inconscio Brama
Ego Eco
Visione piccola Visione ampia
Irrispettoso Rispetto
Euritmia, danza dell'Anima e del Corpo
Ritmo Linguaggio Antroposofia Colori Sovrasensibile
Cura Connessione Mondo supersensoriale Fiore di pesco Sensibilità
Armonia Parola Steiner Rosso Dimensione Spirituale
Movimento Gesto Esoterismo Significati Ipersensibilità
Impulso Silenzioso Filosofia Oltre
Pulsazione del Corpo di Là
Cuore
Battito
Tempo
Armonia Parola Steiner Rosso Dimensione Spirituale
Movimento Gesto Esoterismo Significati Ipersensibilità
Impulso Silenzioso Filosofia Oltre
Pulsazione del Corpo di Là
Cuore
Battito
Tempo
L'Asta Dorata
Immortalità Equilibrio Connessione Cielo/Terra Forza Magnetica Tempo
Onnipotenza Bene Indicare Polo negativo Attimo Atemporale
Presunzione Centro Puntare Polo positivo Fermo
Morte Verticalità Ribaltare Attrazione Velocità
del Corpo Erezione Linea Repulsione Quiescenza
dell'Anima Cristo Verticalità Terra Morte
dell'Arte Bilancia Torre di Babele Sole
Sopravvivenza Diritta Trucco
La gamba dell'Agnello Sensibile
Presunzione Centro Puntare Polo positivo Fermo
Morte Verticalità Ribaltare Attrazione Velocità
del Corpo Erezione Linea Repulsione Quiescenza
dell'Anima Cristo Verticalità Terra Morte
dell'Arte Bilancia Torre di Babele Sole
Sopravvivenza Diritta Trucco
La gamba dell'Agnello Sensibile
Grovigli di Rame casuali
Grovigli di Tempo e Luogo
Mappe radiali di Tempo e Luogo
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Prosa sul Tempo e sul Luogo
La Morte ferma il Tempo e indica il Luogo
Se c'è un modo per fermare il Tempo, è attraverso la Morte, il Tempo del cadavere è un Tempo Nullo, Fermo.
Si tratta di un Tempo che manca di Ritmo, essendo questo assoluta caratteristica della vita terrena.
Se i viventi sono schiavi del Ritmo, i Morti ne sono liberi.
Liberi dal fracasso del Cuore, maledetto incessante tamburo, ubriaco di Movimento, che con la sua Pulsazione scandisce la Vita.
Quanto mi era odioso, prima delle medicine, quel pessimo percussionista, deficiente di Armonia...
E invischiati nel Tempo Passato, Presente e Futuro; siamo tirati tra le sue perdite o gli incubi d'Infanzia e la Velocità furibonda di ciò che verrà.
Se verrà.
E poi dallo stato di Quiescenza, di gran fretta scagliati, direttamente nell'Attimo Atemporale, che dura il Tempo che dura il calore.
Ad andarci a lavare e trasformare e convertire.
Che l'idolo dei Viventi è la Mummia, l'Immortale, che Permane e Perdura sempre più di noi; che è dura come un diamante e che dura nella sua Durata.
E non è importante che sia per l'Eternità, l'Importante è che avrà perdurato.
Si tratta di un Tempo che manca di Ritmo, essendo questo assoluta caratteristica della vita terrena.
Se i viventi sono schiavi del Ritmo, i Morti ne sono liberi.
Liberi dal fracasso del Cuore, maledetto incessante tamburo, ubriaco di Movimento, che con la sua Pulsazione scandisce la Vita.
Quanto mi era odioso, prima delle medicine, quel pessimo percussionista, deficiente di Armonia...
E invischiati nel Tempo Passato, Presente e Futuro; siamo tirati tra le sue perdite o gli incubi d'Infanzia e la Velocità furibonda di ciò che verrà.
Se verrà.
E poi dallo stato di Quiescenza, di gran fretta scagliati, direttamente nell'Attimo Atemporale, che dura il Tempo che dura il calore.
Ad andarci a lavare e trasformare e convertire.
Che l'idolo dei Viventi è la Mummia, l'Immortale, che Permane e Perdura sempre più di noi; che è dura come un diamante e che dura nella sua Durata.
E non è importante che sia per l'Eternità, l'Importante è che avrà perdurato.
Con un Puntatore, una lunghissima gamba di legno, indicherà il Luogo, dicendoci di andare di Là, dove lo spazio si fa nota musicale.
Là, che è desiderosa utopia, che attrae inevitabilmente a sé.
E' come Virgilio questo Corpo che giace, la Guida che ci aiuta a comprendere il Mondo Supersensoriale e ci accompagna, come Madre al funerale, verso l'Obbiettivo ultimo.
E come Madre ci inghiotte, rimandandoci all'Origine.
Ma ormai non siamo più bambini...con chi ci identificheremo?
Umani, diavoli cresciuti.
Cosa ne sarà, davvero, della nostra Originarietà?
E scoprire che la Brama dell'Approdo, ci squarcia l'Anima.
Chi più chi meno.
E' l'Urgenza dell'Aldilà, che Qua, brucia sotto i piedi dei Suicidi che decidon di saltare e scendendo salgono diretti.
Bazzichiamo sempre attorno agli Angoli...troppo insensibili per trovarci la Morte.
Eppure negli Specchi percepiamo l'Astrazione e segretamente abbiamo paura dello Spostamento.
Che l'Esperienza della Morte, quando ci lascia tutti sudati, sa che sappiamo che, l'Aldilà non è solo Rappresentazione.
Là, che è desiderosa utopia, che attrae inevitabilmente a sé.
E' come Virgilio questo Corpo che giace, la Guida che ci aiuta a comprendere il Mondo Supersensoriale e ci accompagna, come Madre al funerale, verso l'Obbiettivo ultimo.
E come Madre ci inghiotte, rimandandoci all'Origine.
Ma ormai non siamo più bambini...con chi ci identificheremo?
Umani, diavoli cresciuti.
Cosa ne sarà, davvero, della nostra Originarietà?
E scoprire che la Brama dell'Approdo, ci squarcia l'Anima.
Chi più chi meno.
E' l'Urgenza dell'Aldilà, che Qua, brucia sotto i piedi dei Suicidi che decidon di saltare e scendendo salgono diretti.
Bazzichiamo sempre attorno agli Angoli...troppo insensibili per trovarci la Morte.
Eppure negli Specchi percepiamo l'Astrazione e segretamente abbiamo paura dello Spostamento.
Che l'Esperienza della Morte, quando ci lascia tutti sudati, sa che sappiamo che, l'Aldilà non è solo Rappresentazione.
Agnello Sensibile, mappale del Tempo e del Luogo
Riflessioni ed elucubrazioni sul Tempo e sul Luogo
Intervista ad Internet
Tempo di raffreddamento di un Corpo
E se il Tempo che scorre tra l'Attimo della morte di un individuo e il momento in cui il suo corpo è completamente freddo fosse la quantità di Tempo che ci mette l'Anima a staccarsi dal Corpo, attraversare l'Angolo e approdare nell'Aldilà? Se quindi il calore fosse sintomo dell'Anima o dello Spirito?
VP:
Quanto Tempo impiega un Corpo morto per raffreddarsi?
VP:
Quanto Tempo impiega un Corpo morto per raffreddarsi?
Internet:
La locuzione latina algor mortis (letteralmente "algidità cadaverica") indica il processo fisico-biologico della riduzione della temperatura corporea dopo la morte. L'algor mortis è generalmente influenzato, soprattutto nella sua velocità, da varie cause come la temperatura ambientale ed altri fattori esterni (umidità, ecc.).
Dopo la morte, interrompendosi la produzione di calore da parte dell'organismo, per le leggi della termodinamica la temperatura corporea tende all'equilibrio con la temperatura ambientale circostante: in alcuni casi, ad esempio quando un corpo è posto sotto la luce solare diretta, il corpo può invece riscaldarsi. Tuttavia di solito il corpo perde progressivamente calore e la sua temperatura diminuisce, seguendo un decadimento esponenziale, fino ad essere uguale a quella dell'ambiente circostante.
Molti studi, principalmente in ambito della medicina legale, hanno esaminato questa diminuzione progressiva nella temperatura corporea per tentare di sviluppare formule utili per calcolare l'intervallo post mortem, ma a causa delle molte variabili in gioco è risultato difficile ottenere una formula affidabile. In generale, la stima del momento del decesso effettuata in base alla diminuzione della temperatura corporea fornisce risultati affidabili solo nelle prime 10-12 ore dopo la morte e solo se il corpo è rimasto in un ambiente freddo (10-15 °C). Durante questo periodo, presupponendo una temperatura ante mortem normale, un corpo medio si raffredda con una legge che può essere considerata lineare, di circa 0,8 °C l'ora. Oppure si può ritenere che: 1) in un primo periodo di circa tre ore la temperatura (si intende sempre la rettale) diminuisca di mezzo grado all'ora; 2) in un secondo periodo di sei-otto ore la temperatura decresca di un grado all'ora; 3) in ultimo, e fino ad equilibrio con la temperatura ambiente, si abbia una discesa da 3/4 di grado a 1/3 di grado all'ora, e sempre più lenta.
I corpi con più isolamento (grasso corporeo) si raffreddano più lentamente e quelli con meno isolamento (cadaveri di persone magre e longilinee) si raffreddano più velocemente. Altri problemi nel calcolo della temperatura post mortem possono nascere dai possibili errori dovuti ad una temperatura corporea ante mortem più alta del normale dovuta a infezioni, a droga o a sforzo fisico. Ancora, la temperatura ambientale esterna è raramente costante: gli sbalzi di temperatura possono alterare in modo drastico il processo di raffreddamento o addirittura invertirlo. Se il corpo è in un ambiente molto freddo, può congelare.
La temperatura del fegato e, meno spesso, la temperatura rettale sono le misure più usate per stabilire la temperatura interna del corpo. Le normali misure orali o ascellari non sono valide a questo scopo, perché dipendono dall'irrorazione sanguigna, che in un cadavere ovviamente è assente.
Il raffreddamento cadaverico rientra tra i fenomeni cadaverici consecutivi. Con la morte cessa la termoregolazione, che mantiene la temperatura interna corporea attorno ai 37 °C, ed essendo poco significativa la termogenesi conseguente alle residue attività cellulari, il corpo comincia a perdere calore, andando ad uniformarsi alla temperatura ambiente.
Si tratta di un decremento che è influenzato da molteplici fattori, che possono essere distinti in:
Va rilevata la temperatura corporea interna utilizzando strumenti che consentano una misurazione oggettiva e confrontabile, non avendo alcuna utilità il dato del tutto soggettivo della percezione al tatto: deve essere pertanto utilizzato un termometro del tipo a bulbo da introdurre all’interno del corpo (di solito si usa la via rettale); va ovviamente rilevata la temperatura ambientale anche se più utili sarebbero i dati relativi alle ore precedenti.
Per valutare il decremento termico si dà per scontato che la temperatura interna al momento della morte sia 37 °C; da ricordare, però, che il decesso può avvenire in condizioni di ipotermia (congelamento; si ricordi che un corpo con una temperatura inferiore a 22-24 °C è sicuramente un cadavere perché sono valori incompatibili con la vita) ovvero di ipertermia (stati febbrili, ma anche morte per intossicazione da cocaina, in cui la temperatura corporea può raggiungere i 40 °C).
Del pari variabile è la temperatura esterna ed è importante conoscere esattamente la collocazione del cadavere (ambiente refrigerato d’estate o riscaldato d’inverno, ambiente chiuso, ambiente ventilato) e le escursioni termiche che si sono succedute. Un cadavere esposto al sole può raggiungere temperature assai elevate: ad esempio, all’interno di un’autovettura esposta al sole d’estate si possono raggiungere i 45 °C e oltre.
Importanti sono anche le condizioni del cadavere (vi è una notevole differenza nel decremento se è nudo o coperto da indumenti o addirittura sotto le coperte in un letto) e lo stato di nutrizione del soggetto, in quanto la dispersione del calore dipende dalla superficie corporea: un obeso disperderà meno il calore di un soggetto magro. Occorrerebbe quindi poter conoscere, oltre alla lunghezza del cadavere, il peso corporeo.
In condizioni particolari poi il raffreddamento è più veloce: nel cadavere immerso in acqua fredda corrente (ad esempio in un fiume) il decremento termico è doppio rispetto al cadavere all’aperto.
Una schematizzazione ragionevole per cadaveri in condizioni medie è quella che prevede:
Tramite un nomogramma che è uno schema in cui si inseriscono i vari dati (temperatura rettale, temperatura ambientale, peso corporeo, ecc.) si può avere un intervallo di tempo entro cui indicare la morte del soggetto.
La locuzione latina algor mortis (letteralmente "algidità cadaverica") indica il processo fisico-biologico della riduzione della temperatura corporea dopo la morte. L'algor mortis è generalmente influenzato, soprattutto nella sua velocità, da varie cause come la temperatura ambientale ed altri fattori esterni (umidità, ecc.).
Dopo la morte, interrompendosi la produzione di calore da parte dell'organismo, per le leggi della termodinamica la temperatura corporea tende all'equilibrio con la temperatura ambientale circostante: in alcuni casi, ad esempio quando un corpo è posto sotto la luce solare diretta, il corpo può invece riscaldarsi. Tuttavia di solito il corpo perde progressivamente calore e la sua temperatura diminuisce, seguendo un decadimento esponenziale, fino ad essere uguale a quella dell'ambiente circostante.
Molti studi, principalmente in ambito della medicina legale, hanno esaminato questa diminuzione progressiva nella temperatura corporea per tentare di sviluppare formule utili per calcolare l'intervallo post mortem, ma a causa delle molte variabili in gioco è risultato difficile ottenere una formula affidabile. In generale, la stima del momento del decesso effettuata in base alla diminuzione della temperatura corporea fornisce risultati affidabili solo nelle prime 10-12 ore dopo la morte e solo se il corpo è rimasto in un ambiente freddo (10-15 °C). Durante questo periodo, presupponendo una temperatura ante mortem normale, un corpo medio si raffredda con una legge che può essere considerata lineare, di circa 0,8 °C l'ora. Oppure si può ritenere che: 1) in un primo periodo di circa tre ore la temperatura (si intende sempre la rettale) diminuisca di mezzo grado all'ora; 2) in un secondo periodo di sei-otto ore la temperatura decresca di un grado all'ora; 3) in ultimo, e fino ad equilibrio con la temperatura ambiente, si abbia una discesa da 3/4 di grado a 1/3 di grado all'ora, e sempre più lenta.
I corpi con più isolamento (grasso corporeo) si raffreddano più lentamente e quelli con meno isolamento (cadaveri di persone magre e longilinee) si raffreddano più velocemente. Altri problemi nel calcolo della temperatura post mortem possono nascere dai possibili errori dovuti ad una temperatura corporea ante mortem più alta del normale dovuta a infezioni, a droga o a sforzo fisico. Ancora, la temperatura ambientale esterna è raramente costante: gli sbalzi di temperatura possono alterare in modo drastico il processo di raffreddamento o addirittura invertirlo. Se il corpo è in un ambiente molto freddo, può congelare.
La temperatura del fegato e, meno spesso, la temperatura rettale sono le misure più usate per stabilire la temperatura interna del corpo. Le normali misure orali o ascellari non sono valide a questo scopo, perché dipendono dall'irrorazione sanguigna, che in un cadavere ovviamente è assente.
Il raffreddamento cadaverico rientra tra i fenomeni cadaverici consecutivi. Con la morte cessa la termoregolazione, che mantiene la temperatura interna corporea attorno ai 37 °C, ed essendo poco significativa la termogenesi conseguente alle residue attività cellulari, il corpo comincia a perdere calore, andando ad uniformarsi alla temperatura ambiente.
Si tratta di un decremento che è influenzato da molteplici fattori, che possono essere distinti in:
- Fattori intrinseci: età, quantità di adipe, sviluppo della massa corporea, causa e modalità della morte.
- Fattori estrinseci: temperatura ambientale, umidità, ventilazione, presenza o meno di indumenti, qualità degli indumenti che ricoprono il corpo, presenza di mezzi più o meno isolanti (come coperte), posizione del cadavere (ad esempio se esposto al sole).
Va rilevata la temperatura corporea interna utilizzando strumenti che consentano una misurazione oggettiva e confrontabile, non avendo alcuna utilità il dato del tutto soggettivo della percezione al tatto: deve essere pertanto utilizzato un termometro del tipo a bulbo da introdurre all’interno del corpo (di solito si usa la via rettale); va ovviamente rilevata la temperatura ambientale anche se più utili sarebbero i dati relativi alle ore precedenti.
Per valutare il decremento termico si dà per scontato che la temperatura interna al momento della morte sia 37 °C; da ricordare, però, che il decesso può avvenire in condizioni di ipotermia (congelamento; si ricordi che un corpo con una temperatura inferiore a 22-24 °C è sicuramente un cadavere perché sono valori incompatibili con la vita) ovvero di ipertermia (stati febbrili, ma anche morte per intossicazione da cocaina, in cui la temperatura corporea può raggiungere i 40 °C).
Del pari variabile è la temperatura esterna ed è importante conoscere esattamente la collocazione del cadavere (ambiente refrigerato d’estate o riscaldato d’inverno, ambiente chiuso, ambiente ventilato) e le escursioni termiche che si sono succedute. Un cadavere esposto al sole può raggiungere temperature assai elevate: ad esempio, all’interno di un’autovettura esposta al sole d’estate si possono raggiungere i 45 °C e oltre.
Importanti sono anche le condizioni del cadavere (vi è una notevole differenza nel decremento se è nudo o coperto da indumenti o addirittura sotto le coperte in un letto) e lo stato di nutrizione del soggetto, in quanto la dispersione del calore dipende dalla superficie corporea: un obeso disperderà meno il calore di un soggetto magro. Occorrerebbe quindi poter conoscere, oltre alla lunghezza del cadavere, il peso corporeo.
In condizioni particolari poi il raffreddamento è più veloce: nel cadavere immerso in acqua fredda corrente (ad esempio in un fiume) il decremento termico è doppio rispetto al cadavere all’aperto.
Una schematizzazione ragionevole per cadaveri in condizioni medie è quella che prevede:
- Fase di discesa lenta della temperatura, con decremento di circa ½ °C l’ora nelle prime 4 ore.
- Fase di discesa rapida della temperatura, con decremento di 1 °C l’ora per altre 4-6 ore.
- Fase di nuova discesa lenta della temperatura, con decremento di ½ °C l’ora, poi di ¼ °C, sino ad uniformarsi con la temperatura esterna, che si raggiunge dopo circa 24 ore dalla morte.
- Fase dell’equilibrio termico oltre la 24a ora.
Tramite un nomogramma che è uno schema in cui si inseriscono i vari dati (temperatura rettale, temperatura ambientale, peso corporeo, ecc.) si può avere un intervallo di tempo entro cui indicare la morte del soggetto.
Come cambia l'Angolo al passare del morto
E se l' Angolo fosse per i viventi solitamente duro, rigido, impenetrabile, di cemento o mattoni, legno o ferro, pietra. Ma all'assorbire il calore che esce dal morto, ovvero, al bussare dell'Anima al suo muro, l'Angolo si facesse di burro? Se si riscaldasse col calore del morto che contrariamente si raffredda, e diventasse molle, flaccido, morbido, fluido. Così l'Anima potrebbe accedervi, penetrare il molliccio pallore.
VP:
Quale è la vera composizione di un Angolo?
VP:
Quale è la vera composizione di un Angolo?
Internet:
In senso puramente letterale, la pietra angolare è la pietra che, posta nell’angolo di un edificio, sostiene i due muri ed è quindi quella ritenuta più importante. In qualità di metafora, invece, si utilizza l’espressione per riferirsi all’elemento portante di una determinata situazione, sia esso una cosa o una persona.
Vale la pena ricordare che l’espressione è molto nota anche in virtù del simbolismo che essa rappresenta nella tradizione cattolica; è Gesù che, citando il salmo 118, parlando di sé, ricorre a questa immagine dicendo “la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo” (Matteo 21, 42).
È una sola pietra a reggere la volta: è quella che, incuneandosi tra i due lati inclinati, li tiene insieme. Perché un'aggiunta finale, così esigua, riesce a produrre effetti così grandi? Perché essa non aggiunge ma completa. Una volta anche Gesù, parlando di sé, era ricorso all'immagine che abbiamo appena sentito descrivere dal filosofo latino Seneca nelle sue Lettere a Lucilio. Infatti, citando il Salmo 118, aveva dichiarato: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d'angolo» (Matteo 21, 42). In queste parole c'era la consapevolezza che proprio lui, scartato dai potenti convinti di essere in grado di costruire la storia, sarebbe stato quella piccola pietra che regge la volta delle vicende umane. Il contrasto è sottolineato anche da Seneca: ci sono altre pietre possenti, eppure è merito di quella pietra esigua se esse stanno insieme e creano un'architettura stabile. Vorrei sottolineare soprattutto i due verbi finali: la pietra angolare non aggiunge ma completa. È, questa, anche una legge dello spirito. Molti credono che sia il tanto a creare valore: tante parole, tante azioni, tante imprese, tanta forza e così via. L'accumulo genera l'illusione della grandezza, e non solo nelle ricchezze ma anche nel sapere: quanti sono convinti che, possedendo tanti dati, conoscano la realtà in profondità. Invece è proprio ciò che tiene insieme in un disegno armonico e sensato i vari dati che genera sapienza e pienezza. Non multa sed multum, dicevano i latini, cioè non sono le tante cose a rendere perfetta una persona ma la profondità della sua comprensione e il nodo d'oro che tiene insieme il tutto.
In senso puramente letterale, la pietra angolare è la pietra che, posta nell’angolo di un edificio, sostiene i due muri ed è quindi quella ritenuta più importante. In qualità di metafora, invece, si utilizza l’espressione per riferirsi all’elemento portante di una determinata situazione, sia esso una cosa o una persona.
Vale la pena ricordare che l’espressione è molto nota anche in virtù del simbolismo che essa rappresenta nella tradizione cattolica; è Gesù che, citando il salmo 118, parlando di sé, ricorre a questa immagine dicendo “la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo” (Matteo 21, 42).
È una sola pietra a reggere la volta: è quella che, incuneandosi tra i due lati inclinati, li tiene insieme. Perché un'aggiunta finale, così esigua, riesce a produrre effetti così grandi? Perché essa non aggiunge ma completa. Una volta anche Gesù, parlando di sé, era ricorso all'immagine che abbiamo appena sentito descrivere dal filosofo latino Seneca nelle sue Lettere a Lucilio. Infatti, citando il Salmo 118, aveva dichiarato: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d'angolo» (Matteo 21, 42). In queste parole c'era la consapevolezza che proprio lui, scartato dai potenti convinti di essere in grado di costruire la storia, sarebbe stato quella piccola pietra che regge la volta delle vicende umane. Il contrasto è sottolineato anche da Seneca: ci sono altre pietre possenti, eppure è merito di quella pietra esigua se esse stanno insieme e creano un'architettura stabile. Vorrei sottolineare soprattutto i due verbi finali: la pietra angolare non aggiunge ma completa. È, questa, anche una legge dello spirito. Molti credono che sia il tanto a creare valore: tante parole, tante azioni, tante imprese, tanta forza e così via. L'accumulo genera l'illusione della grandezza, e non solo nelle ricchezze ma anche nel sapere: quanti sono convinti che, possedendo tanti dati, conoscano la realtà in profondità. Invece è proprio ciò che tiene insieme in un disegno armonico e sensato i vari dati che genera sapienza e pienezza. Non multa sed multum, dicevano i latini, cioè non sono le tante cose a rendere perfetta una persona ma la profondità della sua comprensione e il nodo d'oro che tiene insieme il tutto.
La necessaria decomposizione del corpo
Ma non basta che l'Angolo di ammorbidisca, un Corpo terreno non passerebbe comunque, rimarrebbe incastrato per la pesantezza della sua carne.
E' così che i Corpi devono decomporsi, scomporsi ed esplodere nell'Aria per poi poter essere abbastanza rarefatti da passare. Attenzione, non sono corpi incorporei, né corpi meno corporei, la materia tutta permane ma in forma più fluida, espansa, nervosa ed energica.
Il Corpo si fa abnorme matassa, rossa di fili di rame, prima aerea e poi vuota, di segni intricati, folli di energia che schizza e varia nell'Aria. "Chissà dove, chissà dove".
VP:
Come l'Aria influisce sulla rarefazione dei corpi?
E' così che i Corpi devono decomporsi, scomporsi ed esplodere nell'Aria per poi poter essere abbastanza rarefatti da passare. Attenzione, non sono corpi incorporei, né corpi meno corporei, la materia tutta permane ma in forma più fluida, espansa, nervosa ed energica.
Il Corpo si fa abnorme matassa, rossa di fili di rame, prima aerea e poi vuota, di segni intricati, folli di energia che schizza e varia nell'Aria. "Chissà dove, chissà dove".
VP:
Come l'Aria influisce sulla rarefazione dei corpi?
Internet:
La grossa distinzione che mi preme fare fin dall’inizio è relativa alle condizioni redox dell’ambiente nel quale l’organismo morto si viene a trovare.
Da un lato vi sono le cosiddette condizioni anaerobiche, o asfittiche, caratterizzate dal fatto che l’ossigeno non penetra con facilità, magari perché il terreno è molto compattato, o meglio ancora perché resta costantemente impregnato di acqua, e l’acqua sì può sciogliere una certa concentrazione di ossigeno, ma se essa non viene ricambiata, ed in compenso in quell’acqua ci vivono folte colonie di microrganismi aerobi, tempo pochi giorni e quell’acqua sporca sarà diventata un ambiente decisamente poco favorevole all’ossidazione.
Il colore bruno di acque dolci ricche in acidi umici e fulviciI concetti di ossidazione e di riduzione, che siamo abituati ad imparare nel contesto della chimica inorganica, estendendoli successivamente ad alcune classi di sostanze organiche (es. sappiamo che ossidandosi un alcol primario si trasforma in aldeide, e da questo per ulteriore ossidazione in acido carbossilico), si possono applicare agevolmente a tutti gli atomi di carbonio, organico ed inorganico. La regola è quella per la quale, partendo dallo zero, si considerano negative tutte le valenze espresse verso gli atomi maggiormente elettropositivi (es. idrogeno) e positive tutte quelle espresse verso atomi maggiormente elettronegativi (es. ossigeno, azoto, zolfo, alogeni), mentre i legami tra atomi di carbonio sono computati come zero. Una “dritta” questa che farà rabbrividire certamente i puristi della definizione chimica, ai quali rivolgo la preghiera, se capaci, di fornirne una più rigorosa… purché ugualmente efficace nell’ambito di un articolo che parla in realtà di tutt’altro.
A partire dalle sostanze organiche naturali, nei quali il carbonio ha uno stato di ossidazione “formale” intermedio fra i due estremi del -4 (alcani) e del +4 (biossido di carbonio), sono possibili quindi due percorsi, uno di tipo riduttivo e l’altro di tipo ossidativo.
Del percorso di degradazione di tipo riduttivo della sostanza organica proveniente dalle spoglie ex-viventi negli ambienti maggiormente privi di ossigeno si è avuto modo di parlare in passato in un articolo appositamente dedicato a “La chimica della putrefazione”. In questo testo si argomentava in particolare riguardo ai prodotti ultimi, di tipo solitamente volatile, derivanti da una degradazione completa in condizioni anaerobiche dei materiali organici di origine biologica: metano ed altri idrocarburi saturi a corta catena, ammoniaca, fosfina, acido solfidrico, eventualmente idrogeno, e naturalmente acqua. Tutti prodotti a loro modo volatili, tossici e spesso intensamente maleodoranti, che vengono associati – anche da punto di vista psicologico – ad ambienti mortiferi. Prodotti nei quali l’elemento che funge da anione si trova al suo stato di ossidazione più basso fra quelli possibili per lo stesso elemento.
Mentre sul ruolo rivestito dalla decomposizione anaerobica della sostanza organica di origine biologica nella formazione dei depositi di petrolio sussistono al momento ancora delle teorie contrastanti (esiste infatti una scuola di pensiero che interpreta in termini abiotici la formazione del petrolio) nessun dubbio avvolge invece la formazione dei depositi del carbone, non per niente definito carbone fossile.
Nel carbone stesso sono infatti rinvenibili e riconoscibili, seppur ampiamente trasformati nell’aspetto e nella composizione, i resti delle piante originali – specie di quelle di enormi dimensioni che popolarono la Terra nell’era di massimo sviluppo del regno vegetale, il carbonifero appunto (280-345 milioni di anni fa) – il cui carbonio è stato interamente o quasi ridotto allo stato elementare. Il carbone non costituisce uno stato allotropico alternativo alla grafite ed al diamante, bensì uno stato disorganizzato ed impuro di carbonio poco o per nulla cristallizzato che si è originato per trasformazione riduttiva di questi vegetali, dapprima cresciuti e morti in ambienti umidi e paludosi, quindi decomposti in condizioni anaerobiche di sommersione, in seguito sottoposti a trasformazioni geologiche sotto l’effetto di calore e di pressione.
I materiali parzialmente trasformati che si possono incontrare durante il lentissimo processo di formazione del carbone (in ordine di evoluzione: torba, lignite, litantrace ed antracite) possono presentare tutte le sfumature di aspetto e di composizione chimica intermedie tra i materiali (soprattutto vegetali) originali ed il carbone nero e dall’aspetto roccioso che un po’ tutti conosciamo.
La torba è da tutti conosciuta più alla stregua di una tipologia di terreno piuttosto che di un precursore del carbone, e di fatti i resti vegetali – soprattutto di piante erbacee – che essa contiene sono statica tutti gli effetti fossilizzati, almeno non in modo completo, in quanto all’inizio della storia della loro formazione (tra l’era terziaria e l’era quaternaria) sono stati in qualche modo sottratti ad un’ulteriore riduzione in seguito alla riesposizione all’aria.
Uno dei requisiti affinché le spoglie vegetali si trasformino in torba anziché seguire atri percorsi di decomposizione è il clima non eccessivamente caldo: dall’Irlanda alla Terra del Fuoco nell’estremità meridionale del continente americano, dall’Islanda all’Olanda le torbiere più vaste del mondo si sono formate nei luoghi di antiche paludi in climi freddi o al limite temperati.
Oltre a conservare gran parte dell’acqua iniziale (fino ad un massimo del 90% circa in peso), la torba mostra ancora l’aspetto fisico filamentoso dei vegetali dai quali si è formata, e dal punto di vista chimico anche un’elevata presenza dell’ossigeno originalmente presente nelle molecole biologiche. Elevato grado di umidità e potere calorifico poco elevato (5000 kcal/kg sul prodotto essiccato) non ne giustificando l’impiego come combustibile su larga scala, mentre il suo impiego d’elezione è come ammendante agricolo per migliorare la sofficità del terreno (aerazione e penetrabilità da parte delle radici) e la sua capacità di trattenere acqua al suo interno, riducendone la perdita per percolazione negli strati profondi.
Inizia già a parlarsi di “carbone” con la lignite: un materia che, come ci suggerisce lo stesso nome, richiama anche nei suoi aspetti strutturali il legno stesso dal quale ha avuto origine, circa 80 milioni di anni fa, successivamente quindi al carbonifero, dalle foreste dell’era secondaria e terziaria.
Più scuro della torba, più chiaro del carbone propriamente detto (il litantrace) e fra questi intermedia un po’ per tutte le caratteristiche composizionali, dal contenuto in carbonio elementare (70%) a quello in acqua (dal 13% al 45%) la lignite non è un buon combustibile (potere calorifico da 4100 al 6500 kcal/kg espressi sul secco) ma viene largamente utilizzata come materia prima per la produzione di ulteriori sostanza carboniose ridotte, come ad esempio alcani volatili da utilizzare a loro volta come combustibile gassoso o per sintesi.
Il litantrace è il carbone fossile tout-court, quello che riunisce in sé il miglior compromesso tra un elevato contenuto in carbonio elementare (75-90%) ed un minore contenuto in acqua – e quindi un maggiore potere calorifico (7000-8500 kcal/kg), con una reperibilità sufficiente per giustificarne l’impiego su scala industriale, tanto come combustibile quanto nella produzione di ghisa insieme ai minerali del ferro.
Trattandosi di un materiale molto diffuso e studiato, se ne conoscono numerose varianti, differenziate in relazione alle caratteristiche fisico-strutturali ci compattezza e porosità, ma anche chimico-composizionali come per esempio il livello di impregnazione con sostanze bituminose (“grassezza” del litantrace) e delle sostanze volatili, principalmente idrocarburi, che possono in taluni casi superare il 25% in peso del litantrace.
L’antracite è infine il carbone con più alto contenuto in carbonio elementare (circa il 90%) ed al tempo stesso quello di origine più antica, prossima a 400 milioni di anni or sono.
In ambienti fortemente carenti di acqua, condizione “sin e qua non” per l’affermarsi della vita – anche di quella degli stessi organismo decompositori – neanche il decorso di putrefazione anaerobica e quello di riduzione del carbonio al suo stato elementare possono prendere piede in modo significativo.
In queste condizioni, infatti, le spoglie ex-viventi tendono a cedere la loro stessa acqua, fino al punto di disidratarsi ponendo quindi fine ad un’eventuale decomposizione, almeno in chiave macroscopica e creando così i presupposti per la conservazione del cadavere medesimo, o almeno dei suoi tratti morfologici macroscopici, come succede nei processi di mummificazione. In questi casi l’eventuale rimozione di parti facilmente fermentescibili – ad alto contenuto in acqua e/o in soluti facilmente attaccabili dai microrganismi decompositori – insieme talvolta all’apporto dall’esterno di sostanze chimiche con funzione “antibiotica” possono coadiuvare in modo importante il processo di conservazione dei tessuti nella collocazione ed all’incirca anche con la composizione originale, dal punto di vista istochimico: il fattore determinante nella formazione delle mummie, siano esse animali o vegetali, naturali o volute dall’uomo, resta comunque il livello di disidratazione.
La grossa distinzione che mi preme fare fin dall’inizio è relativa alle condizioni redox dell’ambiente nel quale l’organismo morto si viene a trovare.
Da un lato vi sono le cosiddette condizioni anaerobiche, o asfittiche, caratterizzate dal fatto che l’ossigeno non penetra con facilità, magari perché il terreno è molto compattato, o meglio ancora perché resta costantemente impregnato di acqua, e l’acqua sì può sciogliere una certa concentrazione di ossigeno, ma se essa non viene ricambiata, ed in compenso in quell’acqua ci vivono folte colonie di microrganismi aerobi, tempo pochi giorni e quell’acqua sporca sarà diventata un ambiente decisamente poco favorevole all’ossidazione.
Il colore bruno di acque dolci ricche in acidi umici e fulviciI concetti di ossidazione e di riduzione, che siamo abituati ad imparare nel contesto della chimica inorganica, estendendoli successivamente ad alcune classi di sostanze organiche (es. sappiamo che ossidandosi un alcol primario si trasforma in aldeide, e da questo per ulteriore ossidazione in acido carbossilico), si possono applicare agevolmente a tutti gli atomi di carbonio, organico ed inorganico. La regola è quella per la quale, partendo dallo zero, si considerano negative tutte le valenze espresse verso gli atomi maggiormente elettropositivi (es. idrogeno) e positive tutte quelle espresse verso atomi maggiormente elettronegativi (es. ossigeno, azoto, zolfo, alogeni), mentre i legami tra atomi di carbonio sono computati come zero. Una “dritta” questa che farà rabbrividire certamente i puristi della definizione chimica, ai quali rivolgo la preghiera, se capaci, di fornirne una più rigorosa… purché ugualmente efficace nell’ambito di un articolo che parla in realtà di tutt’altro.
A partire dalle sostanze organiche naturali, nei quali il carbonio ha uno stato di ossidazione “formale” intermedio fra i due estremi del -4 (alcani) e del +4 (biossido di carbonio), sono possibili quindi due percorsi, uno di tipo riduttivo e l’altro di tipo ossidativo.
Del percorso di degradazione di tipo riduttivo della sostanza organica proveniente dalle spoglie ex-viventi negli ambienti maggiormente privi di ossigeno si è avuto modo di parlare in passato in un articolo appositamente dedicato a “La chimica della putrefazione”. In questo testo si argomentava in particolare riguardo ai prodotti ultimi, di tipo solitamente volatile, derivanti da una degradazione completa in condizioni anaerobiche dei materiali organici di origine biologica: metano ed altri idrocarburi saturi a corta catena, ammoniaca, fosfina, acido solfidrico, eventualmente idrogeno, e naturalmente acqua. Tutti prodotti a loro modo volatili, tossici e spesso intensamente maleodoranti, che vengono associati – anche da punto di vista psicologico – ad ambienti mortiferi. Prodotti nei quali l’elemento che funge da anione si trova al suo stato di ossidazione più basso fra quelli possibili per lo stesso elemento.
Mentre sul ruolo rivestito dalla decomposizione anaerobica della sostanza organica di origine biologica nella formazione dei depositi di petrolio sussistono al momento ancora delle teorie contrastanti (esiste infatti una scuola di pensiero che interpreta in termini abiotici la formazione del petrolio) nessun dubbio avvolge invece la formazione dei depositi del carbone, non per niente definito carbone fossile.
Nel carbone stesso sono infatti rinvenibili e riconoscibili, seppur ampiamente trasformati nell’aspetto e nella composizione, i resti delle piante originali – specie di quelle di enormi dimensioni che popolarono la Terra nell’era di massimo sviluppo del regno vegetale, il carbonifero appunto (280-345 milioni di anni fa) – il cui carbonio è stato interamente o quasi ridotto allo stato elementare. Il carbone non costituisce uno stato allotropico alternativo alla grafite ed al diamante, bensì uno stato disorganizzato ed impuro di carbonio poco o per nulla cristallizzato che si è originato per trasformazione riduttiva di questi vegetali, dapprima cresciuti e morti in ambienti umidi e paludosi, quindi decomposti in condizioni anaerobiche di sommersione, in seguito sottoposti a trasformazioni geologiche sotto l’effetto di calore e di pressione.
I materiali parzialmente trasformati che si possono incontrare durante il lentissimo processo di formazione del carbone (in ordine di evoluzione: torba, lignite, litantrace ed antracite) possono presentare tutte le sfumature di aspetto e di composizione chimica intermedie tra i materiali (soprattutto vegetali) originali ed il carbone nero e dall’aspetto roccioso che un po’ tutti conosciamo.
La torba è da tutti conosciuta più alla stregua di una tipologia di terreno piuttosto che di un precursore del carbone, e di fatti i resti vegetali – soprattutto di piante erbacee – che essa contiene sono statica tutti gli effetti fossilizzati, almeno non in modo completo, in quanto all’inizio della storia della loro formazione (tra l’era terziaria e l’era quaternaria) sono stati in qualche modo sottratti ad un’ulteriore riduzione in seguito alla riesposizione all’aria.
Uno dei requisiti affinché le spoglie vegetali si trasformino in torba anziché seguire atri percorsi di decomposizione è il clima non eccessivamente caldo: dall’Irlanda alla Terra del Fuoco nell’estremità meridionale del continente americano, dall’Islanda all’Olanda le torbiere più vaste del mondo si sono formate nei luoghi di antiche paludi in climi freddi o al limite temperati.
Oltre a conservare gran parte dell’acqua iniziale (fino ad un massimo del 90% circa in peso), la torba mostra ancora l’aspetto fisico filamentoso dei vegetali dai quali si è formata, e dal punto di vista chimico anche un’elevata presenza dell’ossigeno originalmente presente nelle molecole biologiche. Elevato grado di umidità e potere calorifico poco elevato (5000 kcal/kg sul prodotto essiccato) non ne giustificando l’impiego come combustibile su larga scala, mentre il suo impiego d’elezione è come ammendante agricolo per migliorare la sofficità del terreno (aerazione e penetrabilità da parte delle radici) e la sua capacità di trattenere acqua al suo interno, riducendone la perdita per percolazione negli strati profondi.
Inizia già a parlarsi di “carbone” con la lignite: un materia che, come ci suggerisce lo stesso nome, richiama anche nei suoi aspetti strutturali il legno stesso dal quale ha avuto origine, circa 80 milioni di anni fa, successivamente quindi al carbonifero, dalle foreste dell’era secondaria e terziaria.
Più scuro della torba, più chiaro del carbone propriamente detto (il litantrace) e fra questi intermedia un po’ per tutte le caratteristiche composizionali, dal contenuto in carbonio elementare (70%) a quello in acqua (dal 13% al 45%) la lignite non è un buon combustibile (potere calorifico da 4100 al 6500 kcal/kg espressi sul secco) ma viene largamente utilizzata come materia prima per la produzione di ulteriori sostanza carboniose ridotte, come ad esempio alcani volatili da utilizzare a loro volta come combustibile gassoso o per sintesi.
Il litantrace è il carbone fossile tout-court, quello che riunisce in sé il miglior compromesso tra un elevato contenuto in carbonio elementare (75-90%) ed un minore contenuto in acqua – e quindi un maggiore potere calorifico (7000-8500 kcal/kg), con una reperibilità sufficiente per giustificarne l’impiego su scala industriale, tanto come combustibile quanto nella produzione di ghisa insieme ai minerali del ferro.
Trattandosi di un materiale molto diffuso e studiato, se ne conoscono numerose varianti, differenziate in relazione alle caratteristiche fisico-strutturali ci compattezza e porosità, ma anche chimico-composizionali come per esempio il livello di impregnazione con sostanze bituminose (“grassezza” del litantrace) e delle sostanze volatili, principalmente idrocarburi, che possono in taluni casi superare il 25% in peso del litantrace.
L’antracite è infine il carbone con più alto contenuto in carbonio elementare (circa il 90%) ed al tempo stesso quello di origine più antica, prossima a 400 milioni di anni or sono.
In ambienti fortemente carenti di acqua, condizione “sin e qua non” per l’affermarsi della vita – anche di quella degli stessi organismo decompositori – neanche il decorso di putrefazione anaerobica e quello di riduzione del carbonio al suo stato elementare possono prendere piede in modo significativo.
In queste condizioni, infatti, le spoglie ex-viventi tendono a cedere la loro stessa acqua, fino al punto di disidratarsi ponendo quindi fine ad un’eventuale decomposizione, almeno in chiave macroscopica e creando così i presupposti per la conservazione del cadavere medesimo, o almeno dei suoi tratti morfologici macroscopici, come succede nei processi di mummificazione. In questi casi l’eventuale rimozione di parti facilmente fermentescibili – ad alto contenuto in acqua e/o in soluti facilmente attaccabili dai microrganismi decompositori – insieme talvolta all’apporto dall’esterno di sostanze chimiche con funzione “antibiotica” possono coadiuvare in modo importante il processo di conservazione dei tessuti nella collocazione ed all’incirca anche con la composizione originale, dal punto di vista istochimico: il fattore determinante nella formazione delle mummie, siano esse animali o vegetali, naturali o volute dall’uomo, resta comunque il livello di disidratazione.
Come si presenta il Tempo Al di Là?
La Morte ferma il Tempo o per meglio dire, lo ferma per farlo durare per sempre. La fregatura della Vita dopo la Vita è che non ha Fine.
Il Tempo si presenterà allora come un Tempo nullo, di nessuna valenza per noi viventi ancora concepibile.
Al di Là il Tempo si annulla, non esiste più, non è piaga per i Morti.
Il Tempo è solo affare dei poveri viventi.
VP:
Nel descrivere un tale stato delle cose si può parlare di Attimo Atemporale?
Il Tempo si presenterà allora come un Tempo nullo, di nessuna valenza per noi viventi ancora concepibile.
Al di Là il Tempo si annulla, non esiste più, non è piaga per i Morti.
Il Tempo è solo affare dei poveri viventi.
VP:
Nel descrivere un tale stato delle cose si può parlare di Attimo Atemporale?
Internet:
L'eternità si determina come una condizione a-temporale, ingenerare, immutabile, imperitura. Vi è assoluta mancanza di divenire, in quanto mutamento di materia, condizione di misurabilità del tempo, epperò assente nell'eternità.
Il termine potrebbe derivare dalla locuzione latina "ex" (fuori) e da "ternum" (terno) ovvero, "fuori dalla triade del tempo: passato, presente e futuro".
L'eternità come temporalità illimitatata:
Il concetto di eternità si presenta nella filosofia antica con Platone e Aristotele nella forma di una successione cronologica illimitata, in cui cioè si sussegue una sequenza ideale di intervalli di tempo in numero illimitato sia precedenti sia posteriori a un istante dato (secondo la concezione del tempo propria della fisica). Non esistendo alcuno strumento in grado di misurare un tale intervallo privo di limiti, esso si configura come congettura, e pertiene quindi al campo della metafisica.
In altro senso, tuttavia, l'eternità può caratterizzarsi come temporalità ciclica come ad esempio nel concetto di Nietzsche dell'eterno ritorno. In questo caso infatti l'attimo come intervallo cronologico minimo viene inteso anche, metafisicamente, come punto di congiunzione del tempo cronologico, caratterizzato dalla linearità del tempo, con una sussistente temporalità circolare, caratterizzata dall'eterna ripetizione dello stesso attimo.
L'eternità come atemporalità:
Nella riflessione teologica di Agostino di Ippona il tempo stesso ha avuto un inizio, una concezione che è risultata in accordo con la cosmologia contemporanea. Dato che Dio pre-esiste al tempo, anzi lo crea, deve trovarsi in una condizione atemporale. Lo stesso concetto di eternità atemporale compare in Boezio e poi nella filosofia medievale con Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino, ecc. In questo senso, che ha a che fare più direttamente con la rivelazione propria di alcune religioni, la temporalità eterna propria della divinità è radicalmente altra dalla temporalità definita e limitata propria del genere umano. La storia dunque trova il suo limite, in questa concezione, nell'eternità che è destinata a porvi fine trascendendola e portando a compimento il suo senso profondo.
Su De Dominicis:
Seconda soluzione di immortalità, l’universo è immobile: Si tratta dell’esposizione avvenuta alla Biennale di Venezia inaugurata l’8 giugno 1972. L’opera diventa famosa per l’esposizione del “mongoloide”, termine utilizzato dai cronisti dell’epoca, ovvero Paolo Rosa, ragazzo affetto dalla sindrome di Down. Si tratta di un’opera esemplare di De Dominicis, summa di tutto il suo lavoro precedente.
Naturalmente l’opera venne intesa come un affronto e ciò causò l’immediata reazione della stampa e dell’opinione pubblica; il caso del mongoloide rimbalzò da un quotidiano all’altro, spesso contorcendo la vera opera e presentando una fotografia di Paolo Rosa, il giovane Dawn usato dall’artista nell’installazione, con attaccato al collo un cartellino riportante il titolo, seduto isolato ad un angolo della stanza.
In realtà non si comprese il significato profondo dell’installazione, che non può essere intesa osservando la singola figura di Rosa, ma bisogna osservare, anche, le opere poste di fronte a lui, ovvero la palla, il cubo e la pietra. In “Foto ricordo” gli elementi sono perfettamente visibili, così come la donna alla destra, che nell’atto di mettersi o togliersi gli occhiali, ci fa entrare nella dinamica di una doppia prospettiva dell’opera, ovvero quella interna (Rosa che vede e diventa garante delle opere ai suoi piedi) e quella esterna, la donna che osserva ciò che ha dinanzi in una prospettiva differente.
De Dominicis fu costretto ad allontanare, dopo qualche ora, Rosa dalla stanza. Una volta escluso, però, la sua intera istallazione risultava priva di senso, al punto tale che chiuse l’intera ala a lui dedicata. De D. si difese affermando che lui non aveva esposto un mongoloide, bensì aveva creato un’opera che comprendeva, nel suo insieme, anche, le opere esposte di fronte a lui.
Per l’artista la sindrome di Down non è una malattia, bensì uno stato diverso dell’essere; il down ha una diversa percezione del tempo e forse non ha neppure la percezione della morte. Rosa percepisce il tempo in maniera istantanea e, come afferma Achille Bonito Oliva, “l’istante annulla il tempo, sospende la continuità e impedisce la morte”.
Le opere d’arte, dunque, si pongono come alterità rispetto al tempo e al susseguirsi di epoche storiche, stili e tecniche e, come lui stesso afferma: “le opere d’arte sono tutte contemporanee. Altrimenti sarebbe come se, vedendo arrivare un’automobile del 1920, si decidesse di attraversare tranquillamente la strada pensando di non poter essere investiti, essendo quell’automobile di un’altra epoca. Mentre non è così. Per le opere d’arte è lo stesso, sono sempre “in diretta”.”
L’opera d’arte si pone nella sua estraneità, come qualcosa senza tempo e per questo eterna. L’opera d’arte deve riuscire a fissare l’attimo atemporale, rompendo il normale corso delle cose. Su questa idea si basano, anche, le altre opere presenti alla biennale, dalla palla fissata in un eterno istante, in un “presente infinitamente trattenuto tra il prima e il dopo”, alla pietra che attende eternamente un movimento molecolare unidirezionale, al cubo in un tempo invisibile e concreto, sino al giovane e il vecchio seduti frontalmente a 12 metri dal suolo: in quella sala si entrava in una dimensione magica, atemporale e dunque immortale.
L'eternità si determina come una condizione a-temporale, ingenerare, immutabile, imperitura. Vi è assoluta mancanza di divenire, in quanto mutamento di materia, condizione di misurabilità del tempo, epperò assente nell'eternità.
Il termine potrebbe derivare dalla locuzione latina "ex" (fuori) e da "ternum" (terno) ovvero, "fuori dalla triade del tempo: passato, presente e futuro".
L'eternità come temporalità illimitatata:
Il concetto di eternità si presenta nella filosofia antica con Platone e Aristotele nella forma di una successione cronologica illimitata, in cui cioè si sussegue una sequenza ideale di intervalli di tempo in numero illimitato sia precedenti sia posteriori a un istante dato (secondo la concezione del tempo propria della fisica). Non esistendo alcuno strumento in grado di misurare un tale intervallo privo di limiti, esso si configura come congettura, e pertiene quindi al campo della metafisica.
In altro senso, tuttavia, l'eternità può caratterizzarsi come temporalità ciclica come ad esempio nel concetto di Nietzsche dell'eterno ritorno. In questo caso infatti l'attimo come intervallo cronologico minimo viene inteso anche, metafisicamente, come punto di congiunzione del tempo cronologico, caratterizzato dalla linearità del tempo, con una sussistente temporalità circolare, caratterizzata dall'eterna ripetizione dello stesso attimo.
L'eternità come atemporalità:
Nella riflessione teologica di Agostino di Ippona il tempo stesso ha avuto un inizio, una concezione che è risultata in accordo con la cosmologia contemporanea. Dato che Dio pre-esiste al tempo, anzi lo crea, deve trovarsi in una condizione atemporale. Lo stesso concetto di eternità atemporale compare in Boezio e poi nella filosofia medievale con Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino, ecc. In questo senso, che ha a che fare più direttamente con la rivelazione propria di alcune religioni, la temporalità eterna propria della divinità è radicalmente altra dalla temporalità definita e limitata propria del genere umano. La storia dunque trova il suo limite, in questa concezione, nell'eternità che è destinata a porvi fine trascendendola e portando a compimento il suo senso profondo.
Su De Dominicis:
Seconda soluzione di immortalità, l’universo è immobile: Si tratta dell’esposizione avvenuta alla Biennale di Venezia inaugurata l’8 giugno 1972. L’opera diventa famosa per l’esposizione del “mongoloide”, termine utilizzato dai cronisti dell’epoca, ovvero Paolo Rosa, ragazzo affetto dalla sindrome di Down. Si tratta di un’opera esemplare di De Dominicis, summa di tutto il suo lavoro precedente.
Naturalmente l’opera venne intesa come un affronto e ciò causò l’immediata reazione della stampa e dell’opinione pubblica; il caso del mongoloide rimbalzò da un quotidiano all’altro, spesso contorcendo la vera opera e presentando una fotografia di Paolo Rosa, il giovane Dawn usato dall’artista nell’installazione, con attaccato al collo un cartellino riportante il titolo, seduto isolato ad un angolo della stanza.
In realtà non si comprese il significato profondo dell’installazione, che non può essere intesa osservando la singola figura di Rosa, ma bisogna osservare, anche, le opere poste di fronte a lui, ovvero la palla, il cubo e la pietra. In “Foto ricordo” gli elementi sono perfettamente visibili, così come la donna alla destra, che nell’atto di mettersi o togliersi gli occhiali, ci fa entrare nella dinamica di una doppia prospettiva dell’opera, ovvero quella interna (Rosa che vede e diventa garante delle opere ai suoi piedi) e quella esterna, la donna che osserva ciò che ha dinanzi in una prospettiva differente.
De Dominicis fu costretto ad allontanare, dopo qualche ora, Rosa dalla stanza. Una volta escluso, però, la sua intera istallazione risultava priva di senso, al punto tale che chiuse l’intera ala a lui dedicata. De D. si difese affermando che lui non aveva esposto un mongoloide, bensì aveva creato un’opera che comprendeva, nel suo insieme, anche, le opere esposte di fronte a lui.
Per l’artista la sindrome di Down non è una malattia, bensì uno stato diverso dell’essere; il down ha una diversa percezione del tempo e forse non ha neppure la percezione della morte. Rosa percepisce il tempo in maniera istantanea e, come afferma Achille Bonito Oliva, “l’istante annulla il tempo, sospende la continuità e impedisce la morte”.
Le opere d’arte, dunque, si pongono come alterità rispetto al tempo e al susseguirsi di epoche storiche, stili e tecniche e, come lui stesso afferma: “le opere d’arte sono tutte contemporanee. Altrimenti sarebbe come se, vedendo arrivare un’automobile del 1920, si decidesse di attraversare tranquillamente la strada pensando di non poter essere investiti, essendo quell’automobile di un’altra epoca. Mentre non è così. Per le opere d’arte è lo stesso, sono sempre “in diretta”.”
L’opera d’arte si pone nella sua estraneità, come qualcosa senza tempo e per questo eterna. L’opera d’arte deve riuscire a fissare l’attimo atemporale, rompendo il normale corso delle cose. Su questa idea si basano, anche, le altre opere presenti alla biennale, dalla palla fissata in un eterno istante, in un “presente infinitamente trattenuto tra il prima e il dopo”, alla pietra che attende eternamente un movimento molecolare unidirezionale, al cubo in un tempo invisibile e concreto, sino al giovane e il vecchio seduti frontalmente a 12 metri dal suolo: in quella sala si entrava in una dimensione magica, atemporale e dunque immortale.
Come si presenta il Luogo Al di Là?
E’ inimmaginabile, per noi, questo Vuoto. Manchiamo della sua esperienza.
Lo sentiamo nel nostro vuoto interiore, lo vediamo nelle mostre con poca affluenza, lo stabiliamo creando il sottovuoto.
Ma non è vero Vuoto il vuoto che sperimentiamo sulla Terra, perché la Terra è un grande pieno che tutto tiene vicino e compatto.
Se vive.
Sarà un Vuoto che si paleserà come Luce bianca. Che poi il Vuoto sia un pieno o la luce sia buio non importa molto perché Là tutte queste cose hanno lo stesso significato che le accorda.
VP:
Ma allora dove trovare il Vuoto? Come assaporarne l’assenza? Quando averne nostalgia?
Lo sentiamo nel nostro vuoto interiore, lo vediamo nelle mostre con poca affluenza, lo stabiliamo creando il sottovuoto.
Ma non è vero Vuoto il vuoto che sperimentiamo sulla Terra, perché la Terra è un grande pieno che tutto tiene vicino e compatto.
Se vive.
Sarà un Vuoto che si paleserà come Luce bianca. Che poi il Vuoto sia un pieno o la luce sia buio non importa molto perché Là tutte queste cose hanno lo stesso significato che le accorda.
VP:
Ma allora dove trovare il Vuoto? Come assaporarne l’assenza? Quando averne nostalgia?
Internet:
“Noi diventeremo così uomini aerei, conosceremo la forza d’attrazione verso l’alto, verso lo spazio, verso il nulla e il tutto a un tempo; dominata così la forza d’attrazione terrestre, noi leviteremo letteralmente in una totale libertà fisica e spirituale”. cit. Yves Klein.
Su Klein:
Klein è anche noto per la sua fotografia, Saut dans le vide (Salto nel Vuoto), che lo mostra mentre apparentemente salta giù da un muro, con le braccia tese al pavimento. Klein usò la fotografia per dimostrare il suo «volo lunare», che spesso menzionava. Saut dans le vide venne pubblicata come parte di un attacco portato da Klein alla NASA, che avrebbe dovuto dimostrare che le spedizioni lunari erano hybris e follia.
I lavori di Klein giravano intorno ad un concetto influenzato dallo Zen, che definiva come «le Vide», il Vuoto. Il Vuoto per Klein è uno stato simile al nirvana, senza influenze materiali, un'area dove entrare in contatto con la propria sensibilità, per vedere la realtà oltre la rappresentazione. Klein usò per presentare queste filosofie forme di espressione universalmente riconosciute come arte - dipinti, libri, composizioni musicali - ma metteva il suo atto creativo nello strappare alla forma artistica l'intero contenuto che ne era tipico: i dipinti non avevano immagini, i libri erano senza parole, la musica era una sola nota senza composizioni. L'obiettivo di Klein era creare «Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale».
II. Creare il Vuoto? Una sfida tra Artista, Arte e Materia
Yves Klein, nel mezzo del suo cammino artistico, cominciò ad amare l'idea. L'idea su tutto, che sovrastasse anche il concreto. Ma in quanto idea essa necessitava di un'espressione, nonostante fosse la fantasia di uno spazio vuoto. C'era bisogno di creare l'ambiente nel quale l'opera si sarebbe trovata. Una sfida paradossale, di nuovo: rappresentare la non materia attraverso la materia, ma ora con un nuovo alleato, lo spazio. Nell'aprile del 1958, a Parigi, sempre nella galleria Iris Clert, si tenne quella che è probabilmente la sua più celebre e affermata mostra: “Epoca Pneumatica, la sensibilità pittorica immateriale allo stato materia prima”, meglio conosciuta come “Le Vide” (Il Vuoto). Klein prese in prestito un'intera galleria d'arte e in qualche giorno la dipinse semplicemente di bianco. Ogni oggetto fu rimosso, e al posto della galleria che esisteva precedentemente ora si trovava semplicemente un bianco eterno e impalpabile. Il Bianco e lo Spazio governavano da soli, e l'uomo si perdeva, camminando all'interno dell'opera d'arte. Ma quale opera d'arte di preciso? Le pareti? La stanza? No, al contrario, l'opera stessa era lo spazio creato dal vuoto che si trovava nella stanza. Klein aveva pensato al Vuoto e l'aveva creato nella materia, almeno in linea teorica. La mostra lasciò gli spettatori sgomenti, entusiasti, frustrati e muti.
Rivoluzione blu, la chiamava, una svolta che avrebbe posto fine all’era della Materia e dato avvio all’era dello Spazio, di cui lui era l’autoproclamato Messaggero, lui Paladino e Proprietario del colore (il blu Klein appunto), Yves le Monochrome, il Conquistador del vuoto. E allora i gesti eclatanti: la mostra “Le Vide”, esposizione di una galleria metafisicamente vuota, arte immateriale venduta a peso d’oro, da gettare nella Senna; la fotografia del Salto, che lo ritrae mentre si tuffa a volo d’angelo dal cornicione di un palazzo parigino, non nel vuoto ma verso il Vuoto. Non discesa ma ascesa dal mondo fisico a quello del puro spirito, raggiunto infine con una morte prematura, dopo sette anni di folgorante attività.
La speculazione filosofica seguente riterrà che il vuoto non rientri nel campo dell'indagine filosofica e lo lascerà agli studi della fisica che, reinterpretando la materia come forza e il vuoto come un campo "potenzialmente attivo", ha abbandonato del tutto l'antica concezione del vuoto. Secondo infatti la teoria dei campi il vuoto "fisico" non significa assenza di essere, il non essere degli eleati, ma è una realtà potenzialmente attiva, nel senso che è un vuoto che vive e che s'inserisce nel processo continuo della creazione e distruzione della materia.
«La vecchia idea del vuoto, che lo assimilava a puro spazio, al nulla , è essa pure cambiata. Dopo aver creato, negli anni trenta e quaranta, la teoria quantistica relativistica dei campi, i fisici cessarono di concepire il vuoto nei termini tradizionali Il vuoto, lo spazio in realtà sono fatti di particelle e antiparticelle che spontaneamente si creano e si annichilano.»
Per vuoto si intende una struttura a grande scala dell'Universo sostanzialmente costituita da un enorme spazio, non privo di materia, di densità estremamente bassa in confronto a quanto si osserva nell'Universo (meno di 1/10 della densità media). All'interno di un vuoto sono rilevabili poche ed isolate galassie o nubi di gas. La scoperta dei vuoti nel 1978 si deve agli studi di Stephen Gregory e Laird A. Thompson dell'Osservatorio di Kitt Peak.
I vuoti sono delimitati dai filamenti, grandi strutture nelle quali confluiscono gerarchicamente gruppi, ammassi e superammassi di galassie, tenuti insieme dalla materia oscura. I vuoti hanno dimensioni che variano da 11 a 150 Mpc, ed i vuoti particolarmente grandi, caratterizzati dall'assenza di ricchi superammassi, sono definiti supervuoti. Inoltre vuoti situati in aree dell'Universo ad alta densità risultano più piccoli di quelli collocati in aree a bassa densità.L'energia del vuoto è una quantità di energia presente ovunque nello spazio anche quando privo di materia, il che rende lo spazio vuoto non completamente vuoto.
Questa energia è legata alle fluttuazioni quantistiche, che determinano la continua fugace comparsa e annichilazione di particelle e antiparticelle. L'esistenza di un vuoto privo di energia comporterebbe l'annullamento simultaneo della posizione e della velocità di una particella, contraddicendo il principio d'indeterminazione. L'energia del vuoto può avere effetti misurabili, tra cui l'emissione spontanea di luce o raggi gamma, l'effetto Casimir e il Lamb shift. Si ipotizza inoltre che abbia conseguenze su scala cosmologica, fornendo una spiegazione dell'energia oscura.La teoria quantistica dei campi, che descrive le interazioni fra le particelle elementari in termini di campo, contribuisce alla dimostrazione dell'esistenza di questa energia identificandola con l'energia di punto zero. Un esempio è l'effetto Casimir: due piastre metalliche vicine sono sottoposte ad una leggera forza di attrazione dovuta al fatto che l'energia del vuoto è inferiore nello spazio fra le piastre rispetto a quella all'esterno.
Poiché l'energia potenziale è definita a meno di una costante additiva arbitraria, il valore dell'energia del vuoto potrebbe essere considerato non importante. Questa importanza nasce se si considera anche la forza di gravità, determinando conseguenze sull'espansione dell'universo (v. paragrafo successivo).
La quantità di energia del vuoto può essere descritta come un conteggio delle particelle virtuali che nel vuoto sono generate e distrutte (fluttuazioni del vuoto).
“Noi diventeremo così uomini aerei, conosceremo la forza d’attrazione verso l’alto, verso lo spazio, verso il nulla e il tutto a un tempo; dominata così la forza d’attrazione terrestre, noi leviteremo letteralmente in una totale libertà fisica e spirituale”. cit. Yves Klein.
Su Klein:
Klein è anche noto per la sua fotografia, Saut dans le vide (Salto nel Vuoto), che lo mostra mentre apparentemente salta giù da un muro, con le braccia tese al pavimento. Klein usò la fotografia per dimostrare il suo «volo lunare», che spesso menzionava. Saut dans le vide venne pubblicata come parte di un attacco portato da Klein alla NASA, che avrebbe dovuto dimostrare che le spedizioni lunari erano hybris e follia.
I lavori di Klein giravano intorno ad un concetto influenzato dallo Zen, che definiva come «le Vide», il Vuoto. Il Vuoto per Klein è uno stato simile al nirvana, senza influenze materiali, un'area dove entrare in contatto con la propria sensibilità, per vedere la realtà oltre la rappresentazione. Klein usò per presentare queste filosofie forme di espressione universalmente riconosciute come arte - dipinti, libri, composizioni musicali - ma metteva il suo atto creativo nello strappare alla forma artistica l'intero contenuto che ne era tipico: i dipinti non avevano immagini, i libri erano senza parole, la musica era una sola nota senza composizioni. L'obiettivo di Klein era creare «Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale».
II. Creare il Vuoto? Una sfida tra Artista, Arte e Materia
Yves Klein, nel mezzo del suo cammino artistico, cominciò ad amare l'idea. L'idea su tutto, che sovrastasse anche il concreto. Ma in quanto idea essa necessitava di un'espressione, nonostante fosse la fantasia di uno spazio vuoto. C'era bisogno di creare l'ambiente nel quale l'opera si sarebbe trovata. Una sfida paradossale, di nuovo: rappresentare la non materia attraverso la materia, ma ora con un nuovo alleato, lo spazio. Nell'aprile del 1958, a Parigi, sempre nella galleria Iris Clert, si tenne quella che è probabilmente la sua più celebre e affermata mostra: “Epoca Pneumatica, la sensibilità pittorica immateriale allo stato materia prima”, meglio conosciuta come “Le Vide” (Il Vuoto). Klein prese in prestito un'intera galleria d'arte e in qualche giorno la dipinse semplicemente di bianco. Ogni oggetto fu rimosso, e al posto della galleria che esisteva precedentemente ora si trovava semplicemente un bianco eterno e impalpabile. Il Bianco e lo Spazio governavano da soli, e l'uomo si perdeva, camminando all'interno dell'opera d'arte. Ma quale opera d'arte di preciso? Le pareti? La stanza? No, al contrario, l'opera stessa era lo spazio creato dal vuoto che si trovava nella stanza. Klein aveva pensato al Vuoto e l'aveva creato nella materia, almeno in linea teorica. La mostra lasciò gli spettatori sgomenti, entusiasti, frustrati e muti.
Rivoluzione blu, la chiamava, una svolta che avrebbe posto fine all’era della Materia e dato avvio all’era dello Spazio, di cui lui era l’autoproclamato Messaggero, lui Paladino e Proprietario del colore (il blu Klein appunto), Yves le Monochrome, il Conquistador del vuoto. E allora i gesti eclatanti: la mostra “Le Vide”, esposizione di una galleria metafisicamente vuota, arte immateriale venduta a peso d’oro, da gettare nella Senna; la fotografia del Salto, che lo ritrae mentre si tuffa a volo d’angelo dal cornicione di un palazzo parigino, non nel vuoto ma verso il Vuoto. Non discesa ma ascesa dal mondo fisico a quello del puro spirito, raggiunto infine con una morte prematura, dopo sette anni di folgorante attività.
La speculazione filosofica seguente riterrà che il vuoto non rientri nel campo dell'indagine filosofica e lo lascerà agli studi della fisica che, reinterpretando la materia come forza e il vuoto come un campo "potenzialmente attivo", ha abbandonato del tutto l'antica concezione del vuoto. Secondo infatti la teoria dei campi il vuoto "fisico" non significa assenza di essere, il non essere degli eleati, ma è una realtà potenzialmente attiva, nel senso che è un vuoto che vive e che s'inserisce nel processo continuo della creazione e distruzione della materia.
«La vecchia idea del vuoto, che lo assimilava a puro spazio, al nulla , è essa pure cambiata. Dopo aver creato, negli anni trenta e quaranta, la teoria quantistica relativistica dei campi, i fisici cessarono di concepire il vuoto nei termini tradizionali Il vuoto, lo spazio in realtà sono fatti di particelle e antiparticelle che spontaneamente si creano e si annichilano.»
Per vuoto si intende una struttura a grande scala dell'Universo sostanzialmente costituita da un enorme spazio, non privo di materia, di densità estremamente bassa in confronto a quanto si osserva nell'Universo (meno di 1/10 della densità media). All'interno di un vuoto sono rilevabili poche ed isolate galassie o nubi di gas. La scoperta dei vuoti nel 1978 si deve agli studi di Stephen Gregory e Laird A. Thompson dell'Osservatorio di Kitt Peak.
I vuoti sono delimitati dai filamenti, grandi strutture nelle quali confluiscono gerarchicamente gruppi, ammassi e superammassi di galassie, tenuti insieme dalla materia oscura. I vuoti hanno dimensioni che variano da 11 a 150 Mpc, ed i vuoti particolarmente grandi, caratterizzati dall'assenza di ricchi superammassi, sono definiti supervuoti. Inoltre vuoti situati in aree dell'Universo ad alta densità risultano più piccoli di quelli collocati in aree a bassa densità.L'energia del vuoto è una quantità di energia presente ovunque nello spazio anche quando privo di materia, il che rende lo spazio vuoto non completamente vuoto.
Questa energia è legata alle fluttuazioni quantistiche, che determinano la continua fugace comparsa e annichilazione di particelle e antiparticelle. L'esistenza di un vuoto privo di energia comporterebbe l'annullamento simultaneo della posizione e della velocità di una particella, contraddicendo il principio d'indeterminazione. L'energia del vuoto può avere effetti misurabili, tra cui l'emissione spontanea di luce o raggi gamma, l'effetto Casimir e il Lamb shift. Si ipotizza inoltre che abbia conseguenze su scala cosmologica, fornendo una spiegazione dell'energia oscura.La teoria quantistica dei campi, che descrive le interazioni fra le particelle elementari in termini di campo, contribuisce alla dimostrazione dell'esistenza di questa energia identificandola con l'energia di punto zero. Un esempio è l'effetto Casimir: due piastre metalliche vicine sono sottoposte ad una leggera forza di attrazione dovuta al fatto che l'energia del vuoto è inferiore nello spazio fra le piastre rispetto a quella all'esterno.
Poiché l'energia potenziale è definita a meno di una costante additiva arbitraria, il valore dell'energia del vuoto potrebbe essere considerato non importante. Questa importanza nasce se si considera anche la forza di gravità, determinando conseguenze sull'espansione dell'universo (v. paragrafo successivo).
La quantità di energia del vuoto può essere descritta come un conteggio delle particelle virtuali che nel vuoto sono generate e distrutte (fluttuazioni del vuoto).